Quel giorno una grande nuvola nera bagnava tutta la
città. Le strade diventavano specchi tremolanti continuamente infranti dalle
vetture affrettate. Più in là qualche incrocio diventava un concerto di
clacson, un’esplosione improvvisa di quella musica strana che Bianca aveva
sempre sentito. Lei dal suo banco di scuola poteva ammirare tutta la scena: si
faceva piccola piccola accanto alla finestra e, senza farsi vedere, sbirciava
la città – o meglio, quello che ne vedeva attraverso il vetro appannato dal suo
calore. La posizione alta dal quarto piano le permetteva una vista privilegiata
sull’ampia strada sottostante e sulle piccole macchine tutte in fila ordinata,
rombanti d’impazienza. Di tutte quelle auto vedeva bene le lucine rosse
posteriori, così sgargianti: pareva colorassero a festa la via. Per non parlare
del fumo bianco che ne usciva borbottando in goffe nuvolette che si
dissolvevano sinuose. Eh sì, quando pioveva, la città era proprio bella e
Bianca fremeva su quel banco verde. Al suono della campanella di fine lezione
sarebbe scappata nelle vie a caccia delle meraviglie della pioggia. Sotto il
banco stringeva nelle manine un piccolo oggetto del laboratorio dello zio dal
nome altisonante: un pluviometro nuovo di zecca. L’aveva tenuto da parte per
un’occasione speciale e quel giorno l’avrebbe finalmente usato.
La lezione finì e lei volò nel piccolo giardino
affollato dai bimbi. Protetta dal suo ombrello, si accovacciò per qualche
istante sotto all’unico albero. Allungò la mano e con il pluviometro raccolse
le gocce che scivolavano lungo le foglie. Com’eran dolci! Bianca pensò che
scendessero dal cielo solo per posarsi a quel modo su di loro, e accarezzarle
prima di cadere al suolo. Allora guardò soddisfatta tutte le carezze che in
poco tempo aveva raccolto ed alzò lo sguardo, pronta a scovare le altre
meraviglie della pioggia.
Alcuni passanti videro quella bambina camminare
allegra, un po’ asciutta e un po’ bagnata: ogni tanto, infatti, spingeva via
dalla testa l’ombrello per guardare il cielo e poi si ritraeva al sicuro,
ridendo per le goccioline che le colavano sulle guance. Nessuno poteva
immaginare che stesse cercando il punto esatto in cui quell’acqua nasceva, nel
cielo sconfinato. Altri la videro ballare e canticchiare accanto agli ingorghi
del traffico: per lei quella era una delle più belle sinfonie, così
scoppiettante: il clacson grave del camioncino veniva sovrastato da quello più
acuto della macchinetta, ed ora l’uno ora l’altro suonavano ad intermittenza.
Così, da una parte all’altra della via, vicino o in lontananza, un ritmo si
creava e le goccioline svelte cadevano su quelle note. A Bianca ricordavano le
ballerine che aveva visto ad un balletto con papà: allora, tra una giravolta e l’altra,
ogni tanto allungava il braccio e lasciava scivolare quelle piccole ballerine
nel pluviometro, accanto alle carezze del cielo.
A Bianca non piacevano solo queste danze rombanti, ma
la affascinavano anche i concerti della pioggia nelle strade chiuse al
traffico: alcuni goccioloni, cadendo sul suo ombrello con un grosso tonfo,
parevano il suono grave di tamburi, altri, cadendo sulle grondaie,
riecheggiavano di suoni metallici. La piccola si rannicchiò accanto ad un muro,
così da essere protetta dal tetto della palazzina, e chiuse gli occhi. Seguì quel nuovo ritmo fatto di suoni
delicati. Nel vicolo non c’era nessun altro rumore e forse solo lì la pioggia
poteva suonare indisturbata la canzone del suo cielo. Si immaginò il signor
direttore di quell’orchestra, che doveva essere nascosto lassù: un omino bianco
e spugnoso che, steso su una nuvoletta, agitava la bacchetta di direttore. La
faceva vorticare in aria in curve e cerchi e le goccioline si disponevano su quelle
traiettorie invisibili; poi, al segnale dell’omino, si lasciavano cadere una
per volta o tutte insieme, a seconda della canzone. Allora a Bianca pareva di
veder quei segni invisibili tracciati dal direttore e si accingeva a
raccoglierli nel pluviometro, così frammentati nelle gocce.
A fine giornata, soddisfatta del suo raccolto, guardò
nel piccolo oggetto e ammirò di nuovo le carezze, le ballerine e le note del
cielo: vedeva ancora i loro volteggi nei riflessi del liquido, o nelle piccole
onde sulla superficie. Certo quelli non erano solo pochi millilitri di acqua
piovana…
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