Noi, nella nostra contemporaneità, viviamo di emozioni. Il
nostro apollineo è racchiuso in quel secondo così profondo, individuale,
incomunicabile, che solo parzialmente si può manifestare. Perciò la nostra arte
è effimera: la pittura fatica a riprodurre l’emozione interiore ed è stata
abbandonata a favore del cinema. Il film è un’arte d’azione: il mistero dei
sentimenti umani si mescola all’artificio della scenografia e diventa una pura
illusione su uno schermo. È inafferrabile, proprio come l’emozione che tanto ci
affascina. Non potrebbe essere altrimenti: noi riproduciamo nell’arte quello
che sentiamo dentro di noi. Non saremmo in grado di produrre opere granitiche,
resistenti ai secoli. E, anche quando lo facciamo, ricerchiamo l’irrequietezza
del provvisorio: allora in architettura diamo vita a palazzi pericolanti, al
limite dell’impossibile: l’emozione scorre nella loro ossatura di cemento. Così
costringiamo la pesantezza ad esprimere per sempre la leggerezza di quei
sentimenti che tanto ci affascinano.
Foto di Marcel Gautherot |
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