Parigi, 15
aprile 1874
In un
pomeriggio d’aprile Jerome sedeva sulla poltrona del suo salotto proprio sotto
la finestra aperta. Si lasciava inondare dal calore del sole primaverile: ora
che non era più in grado di vederne la luce, era solito scaldarsi così,
totalmente esposto ai suoi raggi. Restava immobile fino al tramonto; solo
allora, con la pelle arrossata e scintillante di sudore, si dirigeva verso il
tavolo per consumare il pasto preparato dal servitore. Nonostante la cecità, la
sua figura esile e tremolante manteneva un passo deciso e si muoveva rapida,
evitando ogni ostacolo nella stanza angusta.
Jerome aveva sviluppato gli altri sensi a tal punto che sembrava vedesse
esattamente ogni oggetto o mobile che gli ostacolava il cammino. Anche quando
bussarono alla porta andò ad aprire con disinvoltura. Sapeva che avrebbe
varcato la soglia la figura alta e massiccia di César: aveva riconosciuto il
suo respiro ansimante al di là del legno e i suoi passi affrettati, timorosi di
arrivare in ritardo all’appuntamento. Allo schiocco della serratura la porta si
aprì con un cigolio e l’euforia di Cesar invase l’ingresso.
<<
Mio caro amico, sono le nove in punto! Sempre in orario e sempre di buon umore.
Sai che sei il benvenuto nella mia casa anche con qualche minuto di ritardo o
con un volto imbronciato. Tuttavia mi sembra che oggi tu sia più allegro del
solito: percepisco euforia in ogni tuo movimento e scommetto che in questo
momento le tue labbra sono schiuse in un sorriso >>.
<<
Hai detto bene, Jerome. Sono estremamente felice >> rispose, mentre
consegnava al servitore il soprabito raffinato e il cilindro nero. Accompagnato
dalla sua voce squillante il critico d’arte
entrò nel salotto parigino arredato secondo la moda del tempo. Si lasciò
cadere sull’elegante divanetto ricamato e dopo aver attentamente osservato gli
ornamenti orientali del tappeto ricominciò a parlare. << Non sai quali
novità scorrono tra le vie di questa Parigi di fine Ottocento, amico mio.
L’arte sta subendo una rivoluzione: mentre alcuni artisti espongono opere
accademiche, puri trionfi di tecnica e disegno,
altri propongono quadri che sconvolgono totalmente ciò che noi chiamiamo
arte. Jerome, sono ancora turbato da ciò che ho visto oggi! Stamattina, verso
le undici, mi sono recato in Boulevard des Capucines, curioso di scoprire che
cosa potessero proporre questi pittori moderni. Avrai sicuramente sentito
parlare della mostra che gli impressionisti hanno allestito nello studio del
fotografo Nadar; ebbene, nonostante altri critici la disprezzino, io ne sono
davvero entusiasta. Amico mio, mi rincresce parlarti di qualcosa che non puoi
vedere ma la bellezza di quelle pitture mi ha inebriato al punto che non posso
non parlarne >>. Cesar scrutò
Jerome per cogliere una qualche reazione visibile su quel volto rugoso e
bruciato dal sole. Sapeva quanto l’argomento fosse delicato: prima di perdere
la vista a causa della cataratta l’amico era un pittore dotato di una
sensibilità straordinaria. Egli aveva vissuto per la bellezza, quell’inutile
bellezza che solo l’occhio può cogliere.
Per un momento il volto di Cesar si rabbuiò pensando alla condizione del
cieco: come doveva essere la sua vita privata della possibilità di vedere i
colori attraverso cui si esprimeva? Rispose tra sé e sé che un pittore non
sarebbe sopravvissuto in un mondo totalmente buio, senza armonie di tinte e
toni di luce. Tuttavia Jerome non
sembrava soffrirne: il suo volto era sereno, quasi rallegrato dalle parole
dell’amico e la sua bocca rilassata appariva come una sottile linea
curiosamente infossata sotto il peso delle rughe. Cesar trasalì nell’udire la
voce velata del vecchio. << È solo un piacere, per me, udire l’arte di
nuovo e ti sarei grato se mi descrivessi qualche opera così che possa vederla
anche io, immaginata. Conosco ancora i colori e le sfumature, mio caro, li creo
e li riassemblo con la fantasia in composizioni incredibili. Ora potresti
guidarmi, con le tue parole, a immaginare i quadri che questi pittori moderni
hanno dipinto. Sono certo che riuscirai ad esprimere le emozioni che
trasmettono con le loro tinte: non ho mai dubitato della tua eloquenza
>>.
Cesar
guardò più attentamente l’amico e si accorse che era cambiato qualcosa in lui
dalla sua ultima visita. Era più sereno e stranamente disposto ad ascoltare
discorsi sull’arte che mesi prima l’avrebbero reso irascibile. Si alzò ed andò
nella cucina per stappare la bottiglia di champagne che aveva portato con sé.
Che cos’era accaduto a Jerome? In alcuni mesi sembrava aver superato il trauma
della cecità che si portava dentro da ormai cinque anni. Per la prima volta non
l’aveva visto irrequieto, e nemmeno fingeva di star bene come aveva già fatto
altre volte. Il sughero del tappo schioccò scivolando fuori dal collo della
bottiglia, sotto la pressione delle mani di Cesar. Prese due calici dalla
piccola credenza e vi versò lo champagne. Decise che avrebbe accontentato
l’amico: qualunque ne fosse la causa, Jerome aveva di nuovo bisogno di godere
della bellezza dell’arte. Avrebbe quindi descritto qualche quadro, facendo
emergere il significato più profondo di ogni opera, traducendo in parole il
loro mistero.
Entrò nel
salotto fiocamente illuminato, posò un calice sul tavolino vicino alla poltrona
del cieco. Si avvicinò alla finestra sorseggiando la bevanda e, volgendo le
spalle alla stanza, cominciò a parlare. << Ebbene, caro Jerome, sono
felicissimo di condividere con te le emozioni che quella mostra mi ha dato.
Durante la mia carriera di critico d’arte ho visto le più svariate opere; tutte
esprimevano sentimenti in modi sempre diversi. Oggi ho assistito a qualcosa di
totalmente nuovo: immagina di vedere grandi tele dipinte con soggetti ordinari,
offuscati dalle pennellate. Un paesaggio o una lezione di danza privi di
contorni definiti emergevano dalla tela: non erano altro che chiazze annebbiate
di colore. Poche pennellate violente di bianco
apparivano all’occhio come una nuvola morbida e corposa che vagava
leggiadra in un cielo indaco. Non credevo a ciò che vedevo: tratti dettati dal
caso, stesi frettolosi, inconsapevoli del loro ruolo, dialogavano tra loro e
nell’insieme riproducevano la realtà. Non penso di esagerare nell’affermare che
un paesaggio rappresentato in ogni suo infinitesimo particolare non avrebbe
trasmesso le stesse emozioni e non avrebbe immerso lo spettatore nei suoi
giochi di colori come hanno il potere di fare gli indefiniti quadri di questi
pittori. Uno in particolare, dipinto da un certo Monet, era un insieme di
pennellate disordinate tanto da sembrare il disegno di un bambino. Inizialmente
mi era sembrata un’informe nebbia azzurra e arancio che si estendeva su tutta
la superficie della tela; poi guardai meglio e cominciai a distinguere i
particolari. Una chiazza un po’ più scura ricordava la forma di una barca con a
bordo piccoli pescatori, mentre galleggiava sulla liquida superficie del mare
in bonaccia. Le onde lievi erano scherzi di linee parallele a volte nette e
azzardate, a volte mescolate con tocchi di un azzurro più tenue. In alto il
cerchio arancione del sole risaltava tra la nuvola di foschia tipica del
mattino. Una spessa linea piatta sembrava accennare all’orizzonte e, nel punto
in cui era più spessa, al porto. Le solide costruzioni sulla riva, unica
sicurezza per marinai reduci dall’informità del mare, sembravano fantasmi
abbandonati in un gioco di colori, fatti di aria salmastra. Il cielo non si
distingueva dal mare se non per il riflesso del sole sullo specchio piatto
dell’acqua: tutto era mescolato e reso fluido dalla foschia mattutina. Ho amato
quel quadro, caro Jerome, perché mi ha coinvolto nella povera e comune scena
rappresentata. Ho ammirato l’alba come un pescatore indaffarato ad avvolgere le
reti a bordo della sua barca, inumidito dall’aria pesante. La pittura
indefinita di Monet mi ha permesso di immergermi nella nebbia e vedere la vera
bellezza di un’alba reale. Per questo motivo sono così entusiasta di una
pittura sgarbata e priva di dettagli come questa: le sue pennellate ruvide
riescono a trasmettere la bellezza di un’emozione, non si limitano a ricercare l’armonia
e la perfezione delle sole forme rappresentate >>.
Cesar
tacque. Il suo sguardo perso nell’oscurità della notte di là dal vetro tentava
di ricreare il quadro appena descritto, spinto dall’emozione. Ogni volta l’arte
scavava nella profondità del suo animo e lo estasiava: per lui era l’unica cosa
in grado di rappresentare e trasmettere appieno la vera bellezza del mondo, una
delle poche cose, cioè, per cui egli viveva. Bevve l’ultimo sorso di champagne
e si avvicinò al centro della stanza. Si sedette sul divanetto cremisi e
appoggiò sul tavolino il bicchiere vuoto, accanto a quello ancora colmo
dell’amico. Alzò lo sguardo e colse Jerome in un atteggiamento nuovo. Tremando
impercettibilmente, sedeva irrigidito con la testa abbandonata sul soffice schienale.
Ad un certo punto, in silenzio, si protese in avanti, cercò a tastoni il calice
e bevve un sorso della bevanda. Respirò profondamente tenendo il bicchiere a
mezz’aria, rapito da pensieri che lo trasportavano fuori da quella stanza e
dalla mondana Parigi ottocentesca. Sotto le palpebre, le pupille cieche si
muovevano irrequiete da una parte all’altra, come se seguissero il volo di
uccelli immaginari. Posando il bicchiere parlò con una voce che esprimeva calma
millenaria.
<< Le
tue parole mi emozionano, Cesar, e mi portano a pensare ad altro oltre alla
mostra che mi hai descritto. Rifletto su che cosa significhi l’arte per me e mi
rendo conto che la mia carriera è stata una continua ricerca della bellezza.
Volevo ricreare sulla tela l’aspetto incantevole della natura; essa si
manifestava armoniosa e i suoi colori suscitavano in me emozioni profonde.
Cominciai a dipingere proprio nel tentativo di cogliere quella magia che
racchiudeva ed era in grado di emozionarmi. Allora mi stupivo di come una
sottile crosta di colore steso su una tela potesse suscitare la stessa
sensazione di bellezza senza che io, pur essendone l’autore, l’avessi compresa.
Non conoscevo la causa di quell’armonia, eppure ero in grado di riprodurla. Mi
convinsi, quindi, che l’arte fosse, proprio come la natura, custode del segreto
della bellezza: essa era un’armonia che giaceva tra i colori di un soggetto.
Puoi quindi capire che cosa è stato per me rimanere totalmente cieco. Non
potevo più godere di tutto questo, non mi sarei più rallegrato davanti alla
bellezza di un tramonto. Fui disperato. Ero privato di ciò che per anni mi
aveva donato gioia e che era stato il mezzo di espressione della mia
interiorità. Immerso nel mio mondo buio ero diventato insensibile e incapace di
provare anche la più piccola emozione. Poi pian piano capii: gli altri sensi si
affinarono, diventai autosufficiente. L’udito e il tatto erano la mia nuova
vista. Cominciai a frequentare salotti, ritrovai il piacere di una discussione
e della musica. La melodia di un piano mi fece comprendere che potevo ancora
provare emozioni in un corpo cieco e rattrappito come il mio. Rinacque in me la
curiosità di conoscere il mondo e la voglia di percepirlo. Mi rallegravo delle
piccolezze che non avevo mai notato prima e le trovavo incredibilmente
piacevoli: il ticchettio dell’acqua sul vetro, il calore del sole, i profumi.
Tutto conteneva quella magia che attribuivo solo alla pittura, quell’armonia
divina in grado di suscitare emozioni.
Caro mio,
la bellezza è in ogni cosa, è multiforme e basta essere disposti a vederla. Non
si trova solo in un’opera d’arte o in un paesaggio: è in un tramonto, nelle
note di un piano, nel pelo soffice di un animale, nel fruscio delle foglie al
vento, nella voce di un amico. Ora sono in grado di percepirla e, credimi, non
sono mai stato così felice. In ogni momento mi nutro della bellezza che mi
circonda >>.
Cesar
salutò l’amico, indossò il suo grosso cappotto nero e scese nella buia strada
di Parigi. Con la fronte aggrottata pensava alle parole di Jerome. Si fermò
davanti all’ingresso, chiuse gli occhi e per un attimo stette in ascolto: il
rumore di carrozze affrettate e il vento fresco non gli davano alcun piacere.
Provò a fare qualche passo, ma sentì solo un senso di smarrimento e lieve
terrore. Confuso, aprì gli occhi e se andò, costringendosi a pensare alla
mostra impressionista che aveva visto. Comprendeva perfettamente la bellezza
dell’arte e riteneva che questa fosse l’unica forma che essa poteva assumere.
Non poteva pensare che qualcosa di così nobile si trovasse in elementi effimeri
e quotidiani come il fruscio di foglie secche. Non voleva credere alle parole
di Jerome: era ancora troppo cieco per capirle. Camminò frettolosamente fino al
suo palazzo, circondato dall’armonia della notte che si ostinava a non
ascoltare.
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