sabato 10 agosto 2013

αναστασια: costruzione e distruzione

Come molto spesso accade rimango vittima del fascino del greco: le sue parole, pur essendo così antiche, hanno la capacità di portare le controverse espressioni di uno stesso concetto. Un'unica parola può esprimere la gioia più intensa o il dolore più devastante: lei è portatrice del significato nella sua interezza ed è solo il contesto in cui viene collocata ad esprimere quale faccia mostrare. Essa è una creta incolore che può assumere tutte le forme e sfumature che lo scrittore le vuole conferire: come un'artista si serve di scalpelli, egli usa parole e aggettivi che pone minuziosamente attorno alla parola per scolpirla e lucidarla a regola d'arte. In questo modo dall'ampio concetto iniziale può far luce solo su una lieve sfumatura.
"anastasìa" - mi raccomando, l'accento è sulla 'i' - è una di queste parole che portano dentro di sé una cosa e il suo contrario: come può esprimere la costruzione, indica anche la distruzione. Leggendo le traduzioni così contrastanti del piccolo trafiletto del dizionario di greco mi sono domandata come fosse possibile: questa piccola parola porta dentro di sé la forza creatrice e distruttrice che tutti gli uomini hanno. Così essa mi sembra esprima il granissimo potenziale che noi abbiamo e che viene esaltato fin dall'antichità; siamo in grado di creare, di domare l'esistente con arti e tecniche, di inventare nuovi mezzi e mondi, esattamente come possiamo utilizzare quello stesso ingegno per distruggere e uccidere. 


Per questo "anastasìa" mi affascina tanto: mi porta a riflettere sul mistero che noi uomini costituiamo.


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