Certo è difficile rievocare sensazioni provate a distanza di tempo, ma ci proverò.
Di primo impatto quella passerella sembrava l'antica ύβρις greca: come Serse, l'uomo è andato oltre al proprio potere camminando sulle acque, piegando la natura per far passare migliaia di persone da una sponda all'altra. Eppure questa stessa azione ha un sapore totalmente diverso: l'uomo moderno ha già piegato la natura al suo volere così tanto che non sente quest'opera una sfida ai propri limiti, ma una gioiosa messa in atto della τέχνη umana volta alla libertà.
Questa è in tutto e per tutto un'opera libera, fluente, affacciata sull'immenso. Le masse di persone che vi transitano sembrano carovane che migrano in un paesaggio dell'anima, alla ricerca di un destino, così sospese su questa strada sottile. Leggeri, si amalgamano con la fluidità dell'acqua che scorre sotto di loro, se ne lasciano inondare.
Mentre lasciavano che i loro piedi sentissero la consistenza del telo e le oscillazioni, il paesaggio cambiava. Potevano ammirare il sole filtrare tra le nuvole e cadere sulle onde senza fretta. Seguendo il proprio ritmo potevano fermarsi, affascinati da un dato riflesso. Potevano trasformarsi.
Anche io cambiai. Quando il sole scese, tramontai con lui. I tenui riflessi di rosa e d'azzurro si espansero, ed erano in me. Sbocciò la serenità della sera, della riflessione. Ci fu la consapevolezza di un passaggio - un viaggio si chiude, se ne apre un altro.
Come quell'acqua ero sempre io, ma sempre diversa: tutto scorre, nessun punto è uguale a se stesso.
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