martedì 23 dicembre 2014

Pioggia in città

Quel giorno una grande nuvola nera bagnava tutta la città. Le strade diventavano specchi tremolanti continuamente infranti dalle vetture affrettate. Più in là qualche incrocio diventava un concerto di clacson, un’esplosione improvvisa di quella musica strana che Bianca aveva sempre sentito. Lei dal suo banco di scuola poteva ammirare tutta la scena: si faceva piccola piccola accanto alla finestra e, senza farsi vedere, sbirciava la città – o meglio, quello che ne vedeva attraverso il vetro appannato dal suo calore. La posizione alta dal quarto piano le permetteva una vista privilegiata sull’ampia strada sottostante e sulle piccole macchine tutte in fila ordinata, rombanti d’impazienza. Di tutte quelle auto vedeva bene le lucine rosse posteriori, così sgargianti: pareva colorassero a festa la via. Per non parlare del fumo bianco che ne usciva borbottando in goffe nuvolette che si dissolvevano sinuose. Eh sì, quando pioveva, la città era proprio bella e Bianca fremeva su quel banco verde. Al suono della campanella di fine lezione sarebbe scappata nelle vie a caccia delle meraviglie della pioggia. Sotto il banco stringeva nelle manine un piccolo oggetto del laboratorio dello zio dal nome altisonante: un pluviometro nuovo di zecca. L’aveva tenuto da parte per un’occasione speciale e quel giorno l’avrebbe finalmente usato.
La lezione finì e lei volò nel piccolo giardino affollato dai bimbi. Protetta dal suo ombrello, si accovacciò per qualche istante sotto all’unico albero. Allungò la mano e con il pluviometro raccolse le gocce che scivolavano lungo le foglie. Com’eran dolci! Bianca pensò che scendessero dal cielo solo per posarsi a quel modo su di loro, e accarezzarle prima di cadere al suolo. Allora guardò soddisfatta tutte le carezze che in poco tempo aveva raccolto ed alzò lo sguardo, pronta a scovare le altre meraviglie della pioggia.
Alcuni passanti videro quella bambina camminare allegra, un po’ asciutta e un po’ bagnata: ogni tanto, infatti, spingeva via dalla testa l’ombrello per guardare il cielo e poi si ritraeva al sicuro, ridendo per le goccioline che le colavano sulle guance. Nessuno poteva immaginare che stesse cercando il punto esatto in cui quell’acqua nasceva, nel cielo sconfinato. Altri la videro ballare e canticchiare accanto agli ingorghi del traffico: per lei quella era una delle più belle sinfonie, così scoppiettante: il clacson grave del camioncino veniva sovrastato da quello più acuto della macchinetta, ed ora l’uno ora l’altro suonavano ad intermittenza. Così, da una parte all’altra della via, vicino o in lontananza, un ritmo si creava e le goccioline svelte cadevano su quelle note. A Bianca ricordavano le ballerine che aveva visto ad un balletto con papà: allora, tra una giravolta e l’altra, ogni tanto allungava il braccio e lasciava scivolare quelle piccole ballerine nel pluviometro, accanto alle carezze del cielo.
A Bianca non piacevano solo queste danze rombanti, ma la affascinavano anche i concerti della pioggia nelle strade chiuse al traffico: alcuni goccioloni, cadendo sul suo ombrello con un grosso tonfo, parevano il suono grave di tamburi, altri, cadendo sulle grondaie, riecheggiavano di suoni metallici. La piccola si rannicchiò accanto ad un muro, così da essere protetta dal tetto della palazzina, e chiuse gli occhi.  Seguì quel nuovo ritmo fatto di suoni delicati. Nel vicolo non c’era nessun altro rumore e forse solo lì la pioggia poteva suonare indisturbata la canzone del suo cielo. Si immaginò il signor direttore di quell’orchestra, che doveva essere nascosto lassù: un omino bianco e spugnoso che, steso su una nuvoletta, agitava la bacchetta di direttore. La faceva vorticare in aria in curve e cerchi e le goccioline si disponevano su quelle traiettorie invisibili; poi, al segnale dell’omino, si lasciavano cadere una per volta o tutte insieme, a seconda della canzone. Allora a Bianca pareva di veder quei segni invisibili tracciati dal direttore e si accingeva a raccoglierli nel pluviometro, così frammentati nelle gocce.

A fine giornata, soddisfatta del suo raccolto, guardò nel piccolo oggetto e ammirò di nuovo le carezze, le ballerine e le note del cielo: vedeva ancora i loro volteggi nei riflessi del liquido, o nelle piccole onde sulla superficie. Certo quelli non erano solo pochi millilitri di acqua piovana…

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