domenica 25 giugno 2017

Il viaggiatore di Ottavia

Arnaud si trovava nel cuore della Provenza, accarezzato dall'aria asciutta e calda tipica dell'estate. Attorno a lui il cielo profondo e limpido, delimitato dall'orizzonte di pianura ondeggiante, dalle superfici curve dei campi. Appena sveglio, come ogni mattina, si fermava un attimo ad assaporare il paesaggio: si rigenerava sentendosene parte. Tuttavia quella mattina qualcosa lo colpì: una macchiolina nera nel cielo che stava ferma. No, anzi: si spostava un poco. Ma che era? Un uccello non poteva essere - aveva una forma allungata verticalmente, non orizzontalmente come qualsiasi volatile. Era infatti un uomo. Un singolare funambolo che si divertiva a tirare la sua fune tra alture del mondo, e così, da lassù, se lo gustava per bene.
Quando l'omino vide che Arnaud lo fissava, lo salutò in un gran agitare di braccia in segno di gioia: quasi cadeva giù con un gran tonfo dalla felicità. Calò una fune per Arnaud, e lo tirò sù sù fino alla sua casa. Il ragazzo si sentì svenire.
- Ma qui siamo ad almeno due chilometri da terra! Come ti salta in mente di startene a camminare qua, senza misure di sicurezza?! - gli gridò in un soffio di voce Arnaud, svuotato dalla paura.
- Non c'è brezza di vita senza un soffio di rischio, ragazzo mio!
Arnaud lo guardò un po' sbalordito: non un segno di tensione, il funambolo era tranquillo quanto un bagnante che sta disteso sulla spiaggia, circondato dal rumore del mare. Allora un po' si tranquillizzò: l'omino gli stava dicendo che sì, si può fare.
- Ti sembrerà strano, ma sono nato in una città fatta di funi, dove tutto sta sospeso attaccato all'ingiù. Da quando si nasce non ci si fa caso. Ogni tanto qualche fune cede, qualche casa crolla, ma così funzionano le cose: sappiamo che tutto è instabile. Ma sai cosa ti dico? Voi laggiù avete terremoti e nemmeno ci pensate; siete ben issati alla terra eppure nonostante questo sfidate la sorte e inventate mezzi sempre più potenti per staccarvene: biciclette, pattini, automobili che vanno ai trecento all'ora, autocarri, aeroplani. E poi qualcosa sfugge e si stacca, e ve ne addolorate. Ragazzo mio, io dico che siete voi più incoscienti di me: incoscienti dell'instabilità. Io ogni mattina mi alzo e tendo la fune: mi ritengo un esploratore, uno che non si sazia di vedere dall'alto una sola superficie del mondo. E allora vado. Mi alzo, sento le vibrazioni del vento, oscillo, mi isso, mi libro in aria: conosco il rischio di cadere, per questo non lo temo. Solo così mi godo appieno il mio viaggio. La mia vita spericolata non è altro che una vita pienamente assennata.

Arnaud dopo un intero giorno passato con l'omino ad esplorare intrecci di funi ridiscese calandosi giù, immerso nella luce del tramonto. Questa volta i suoi movimenti erano agili, e la sua parvenza colorita dopo una giornata passata ad abbronzarsi al sole di alta quota. Nell'animo si sentiva tranquillo come un bagnante sulla riva del mare: l'ondeggiare della fune e il fruscìo del vento gli facevano sembrare d'essere in una baia tranquilla.
In fondo anche i natanti più spensierati rischiano di essere risucchiati dall'abisso.

Liberamente ispirato a Ottavia, città ragnatela, de Le città invisibili di Italo Calvino