giovedì 20 luglio 2017

Lo scrutatore

Gerard fumava la pipa all'ombra luminosa di un cottage immerso nel verde. Teneva le braccia appoggiate alla staccionata che divideva la piazzola di mattone dalla vegetazione. Gli occhi scintillanti e profondi osservavano fissi chissà che cosa, ma era chiaro che in loro stava accadendo qualcosa di enorme quanto una battaglia nucleare. Concentrato, intenso, profondo: la fantasia del cervello era così attiva da far gocciolare in quello sguardo il liquido della passione. Quasi sudava come un giocatore di scacchi che medita sull'ultima mossa della partita.
Non lo attanagliava né una guerra né una sfida, ma cercava di fare qualcosa di altrettanto grande: comprendere il mondo. O meglio, il suo mondo. Il mondo che aveva visto, tessere che aveva accumulato, fili e gomitoli di relazioni che aveva arrotolato o srotolato nell'arco della sua vita. Sembra che le righe sul volto avessero cominciato a dirgli che forse era abbastanza staccato dalla sua esistenza da capirci qualcosa, forse da vederne un percorso, un segno dominante.
In un certo senso si voleva incasellare, caratterizzare come fosse il personaggio di una qualche opera teatrale: una maschera: un attributo. E allora concentrato cercava di prendere la multiformità della sua storia, assottigliarla, togliere il superfluo per ottenere forme regolari di senso compiuto. E così, via a rendere concetto astratto il vissuto, a rendere una morale una corda tesa, via a dimenticarsi i colori delle esperienze.

E se non fosse stato così? Se da quelle infinite sfumature di colore stesse traendo la struttura sbagliata? Se la vera essenza fosse stata tutta in ciò che scartava?
Allora di nuovo, daccapo. Di fianco al modello appena creato ne realizzava un altro stavolta tutto colori senza forme, e poi un altro tutto suoni musiche e strimpelli, e un altro tutto morbidezze e fatica e alla fine un ultimo, meticcio, uno un po' zoppo che forse non stava in piedi, perché sì, forse era opportuno mettere insieme tutti quanti gli aspetti.

"Forse - si diceva - siamo solo la formula con la quale ci scrutiamo."


Liberamente ispirato dalla poetica di Italo Calvino 

domenica 25 giugno 2017

Il viaggiatore di Ottavia

Arnaud si trovava nel cuore della Provenza, accarezzato dall'aria asciutta e calda tipica dell'estate. Attorno a lui il cielo profondo e limpido, delimitato dall'orizzonte di pianura ondeggiante, dalle superfici curve dei campi. Appena sveglio, come ogni mattina, si fermava un attimo ad assaporare il paesaggio: si rigenerava sentendosene parte. Tuttavia quella mattina qualcosa lo colpì: una macchiolina nera nel cielo che stava ferma. No, anzi: si spostava un poco. Ma che era? Un uccello non poteva essere - aveva una forma allungata verticalmente, non orizzontalmente come qualsiasi volatile. Era infatti un uomo. Un singolare funambolo che si divertiva a tirare la sua fune tra alture del mondo, e così, da lassù, se lo gustava per bene.
Quando l'omino vide che Arnaud lo fissava, lo salutò in un gran agitare di braccia in segno di gioia: quasi cadeva giù con un gran tonfo dalla felicità. Calò una fune per Arnaud, e lo tirò sù sù fino alla sua casa. Il ragazzo si sentì svenire.
- Ma qui siamo ad almeno due chilometri da terra! Come ti salta in mente di startene a camminare qua, senza misure di sicurezza?! - gli gridò in un soffio di voce Arnaud, svuotato dalla paura.
- Non c'è brezza di vita senza un soffio di rischio, ragazzo mio!
Arnaud lo guardò un po' sbalordito: non un segno di tensione, il funambolo era tranquillo quanto un bagnante che sta disteso sulla spiaggia, circondato dal rumore del mare. Allora un po' si tranquillizzò: l'omino gli stava dicendo che sì, si può fare.
- Ti sembrerà strano, ma sono nato in una città fatta di funi, dove tutto sta sospeso attaccato all'ingiù. Da quando si nasce non ci si fa caso. Ogni tanto qualche fune cede, qualche casa crolla, ma così funzionano le cose: sappiamo che tutto è instabile. Ma sai cosa ti dico? Voi laggiù avete terremoti e nemmeno ci pensate; siete ben issati alla terra eppure nonostante questo sfidate la sorte e inventate mezzi sempre più potenti per staccarvene: biciclette, pattini, automobili che vanno ai trecento all'ora, autocarri, aeroplani. E poi qualcosa sfugge e si stacca, e ve ne addolorate. Ragazzo mio, io dico che siete voi più incoscienti di me: incoscienti dell'instabilità. Io ogni mattina mi alzo e tendo la fune: mi ritengo un esploratore, uno che non si sazia di vedere dall'alto una sola superficie del mondo. E allora vado. Mi alzo, sento le vibrazioni del vento, oscillo, mi isso, mi libro in aria: conosco il rischio di cadere, per questo non lo temo. Solo così mi godo appieno il mio viaggio. La mia vita spericolata non è altro che una vita pienamente assennata.

Arnaud dopo un intero giorno passato con l'omino ad esplorare intrecci di funi ridiscese calandosi giù, immerso nella luce del tramonto. Questa volta i suoi movimenti erano agili, e la sua parvenza colorita dopo una giornata passata ad abbronzarsi al sole di alta quota. Nell'animo si sentiva tranquillo come un bagnante sulla riva del mare: l'ondeggiare della fune e il fruscìo del vento gli facevano sembrare d'essere in una baia tranquilla.
In fondo anche i natanti più spensierati rischiano di essere risucchiati dall'abisso.

Liberamente ispirato a Ottavia, città ragnatela, de Le città invisibili di Italo Calvino

giovedì 6 aprile 2017

Crosshaven, Ireland

Crosshaven, Co. Cork, Ireland
Are clouds over your head or under your feet?
Non avrei saputo dirlo.
Forse in quel momento ho vissuto una delle emozioni più indimenticabili vedendo quel cielo sopra e sotto di me. Azzurro. Blu. Sconfinato. Mi entrava dentro come un sorso d'acqua.
L'oceano sulla spiaggia piatta, le onde che si stiravano sul bagnasciuga e sembravano non fermarsi. Un tranquillo specchio fatto di schiuma e sabbia perfettamente liscia.
La sensazione era quella di entrare nei segreti dell'oceano, di osservare da vicino la bocca di un mostro marino che dorme beato. Vederne i segreti - le alghe sulla spiaggia grandi e resistenti, le strane creature attaccate agli scogli, le conchiglie tra i sassi.

Eravamo noi, qualche passate e l'oceano.
Abbiamo camminato, indagato, osservato. Ci siamo fermate a guardare il paesaggio. Zitte, a contemplarlo.
O meglio, a sentirci parte di esso.